Vi siete mai chiesti, al cospetto di un’opera d’arte, se quella singola linea sia stata messa lì per un motivo preciso, o se sia stato semplicemente il caso a determinarne la posizione, il colore, la forza? Dipende dal media che si usa? Dalla predisposizione personale dell’artista? Dal significato che si vuole, o non si vuole, legare a ciò che si crea?
Ho sempre invidiato/ammirato gli artisti che riescono a esprimere ciò che provano con segni e gesti grandi e veloci. Che riescono a non controllare ciò che fanno, che lasciano che i colori e i pennelli creino intrecci casuali, dio quanto deve essere liberante!! Roba come questa o questa.
Queste opere danno adito a lasciare a chi guarda la libertà di vedere ciò che vuole, senza forzature, senza suggerimenti, come in uno specchio, senza la mania di controllo con la quale la razza umana ama suicidarsi, in una moltitudine di modi diversi.
Anche nel variegato mondo dell’embroidery art esistono opere che incutono una certa sensazione di libertà; in questo campo però — come in ogni slow art che si rispetti — è estremamente più difficile resistere a seminare mollichine di pane, per l’entrinseca lentezza del lavoro, e il conseguente spazio per la riflessione. Lavorare con la musica aiuta, ma per quanto mi riguarda tutto ciò che accade mentre ricamo rimane impigliato nei fili, e non sto usando un’iperbole, dico proprio sul serio.
Mi capita spesso, per esempio, e mi sono anche chiesta se si tratti di un qualche tipo di sinestesia, che dopo qualche giorno riprenda un lavoro, e proprio toccando il punto del ricamo durante il quale ascoltavo una certa musica o che so è arrivata una telefonata o qualcuno ha detto qualcosa, questo qualcosa mi torni in mente all’improvviso, nitido, come se stesse accadendo in quel preciso momento.
Tutto questo per dire che io non ce la faccio proprio a lasciare le cose al caso. È sempre stato il mio più grande cruccio, e ciò che ha fatto fallire negli anni tutti i miei tentativi di dipingere a olio (e sono stati tanti). Forse, se avessi studiato alla scuola d’arte e avessi acquisito una robusta tecnica, sarei stata un’iperrealista, e probabilmente avrei odiato ogni singola cosa che avrei fatto.
Ci sono sicuramente molti motivi per cui ho un viscerale bisogno di controllare il mio esterno, vivere in un’ambiente ordinato, frequentare persone coerenti e ottenere informazioni precise e puntuali, e in gran parte attingono al fatto che dentro di me vige un caos permanente. Ma tant’è, bisogna accettare se stessi, e grazie al cielo ho ancora tempo e modo di lavorarci su.
Il ricamo, che ho scoperto da così poco tempo, mi ha salvata da questo abisso. Mai avrei pensato che potesse essere per me così terapeutico se non mi fossi imbattuta casualmente su Pinterest nelle opere che vedete ritratte in questa pagina, e avessi improvvisamente provato un fortissimo desiderio di provare a tradurre, con lentezza, ciò che ho dentro, un filo alla volta.
Nei mesi mi sono poi resa conto che esiste un mondo parallelo di cui non ero assolutamente a conoscenza, nel quale l’embroidery art è un’arte conosciuta, amata e coltivata, soprattutto, a quanto ho capito finora, nel Regno Unito e in Giappone. Ed esposta, non credereste quanto!
Come non rincorrere l’ennesima passione che precorre i tempi, avendo radici nel più antico passato della nostra sventata specie? Quest’arte mi sembra fatta apposta per me, e me lo conferma continuamente il fatto che quando dico che ricamo nessuno capisce cosa diavolo stia facendo.
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