Uno dei momenti che preferisco del mio lavoro sui ricami è quando li tiro fuori dalla lavatrice e li stendo all’aria pulita, sul terrazzo, sulle loro belle corde di canapa. Senza saponi e ammorbidenti i tessuti naturali hanno un profumo asciutto, nudo, un mio caro amico dice spesso che ricordano il pepe.
Ho cambiato ancora. Dopo i tre piccoli ricami-arcipelago, dei quali ho raccontato l’ultima volta, ho sentito l’impulso di lavorare ancora su qualcosa di grande, dopo la nube e il vento, e mi sono ricordata di un disegno a pastello che feci a Roma molti anni fa, nel 1997, quando frequentavo una delle prime web agency italiane, la mitica Uhuru.
Nel disegno ritraevo una giraffa in posizione fetale, disegnata come se fosse nell’utero, quasi a grandezza naturale, su un foglio di carta velina che prendeva un’intera parete. Poi la mia vita diventò più complicata di quella che già era; smisi di frequentare lo studio, che cambiò sede più volte, e il fragile manufatto si perse nei meandri dei traslochi e della storia dell’agenzia.
Quell’immagine mi rimase sempre dentro, e quando qualche mese fa una sbalorditiva fotografia tratta da un video di un feto di elefante nell’utero attrasse la mia attenzione, l’idea di ricamarlo su un bel lenzuolo grande cominciò a radicare in me, facendo capolino all’inizio di ottobre.
È eccitante lavorare così in grande. Mi costringe ad affrontare i miei limiti, in tanti modi, e a mettere a tacere la testa, che giudica ciò che faccio, mi zavorra a terra, vuole la mia attenzione continua; la mente è aggressivo passiva, va domata, deve capire chi è il capo branco, o alla prima occasione ti sbrana.
Tutto questo per dire che qualche giorno fa, mentre ero immersa nei miei fili, ho finalmente capito il monito che il bambino fa a Neo nella sala d’aspetto dell’Oracolo: “Non cercare di piegare il cucchiaio. È impossibile. Cerca invece di provare a giungere alla verità: il cucchiaio non esiste. Allora ti accorgerai che non è il cucchiaio a piegarsi, ma sei tu stesso.”
Che come scrivevo ormai quasi due decenni fa nella mia tesi allo IED sta solo a me aggirare la mente, e che solo aggirandola posso diventare un tramite dell’energia più pura e disinteressata, e spalancare la porta sull’immensa distesa del possibile; che la magia esiste ed è reale, concreta, quantica. Ecco, è tutto.
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