Rifiuto l’affermazione che l’arte abbia una funzione decorativa; che debba abbellire un ambiente o migliorare la vita a chi la fruisce; la likeability. Questa manifestazione umana indefinibile, che ha così tanti risvolti e strade e tortuose gallerie attinge a un mondo che la realtà la sfiora appena, una terra nella quale sono sovrane la libertà nella sua più pura accezione, e le emozioni, profondamente personali e spesso uniche.
L’artigiano crea tenendo presente la destinazione, l’artista non desidera comunicare, a differenza del grafico o del designer; lui si fonde nel viaggio. Il suo sforzo è trasformarsi in un tramite, quanto più puro riesca a essere, tra l’energia pura e il mondo fisico; controllare il mezzo che si usa il meno possibile, creare uno specchio nel quale ognuno rifletta sue proprie emozioni; motivo per cui alcuni possono essere infastiditi da un’opera che altri adorano. Se l’opera ti lascia indifferente, e non sei un narcisista patologico, non è un’opera d’arte.
All’inizio ci si chiede se sia veramente necessaria la sofferenza per partorire qualcosa di vero. Se si debba rigurgitare dolore in un mondo che necessiterebbe di essere piuttosto più accogliente. Solo nel tempo si comprende che anche la felicità è sofferenza, è insita nella nostra caducità; è la morte che rende tutto imperdibile, meraviglioso, struggente.
Ma quanto mi ha sempre intristita la consueta convinzione che il giovane diventando adulto diluisca i suoi ideali, attenuando il fuoco nel suo petto, sbiadendo i colori, uniformandosi. L’idea che un giorno il profumo dell’erba di sera in campagna non mi avrebbe più fatto saltare il cuore in petto, che il vento non mi avrebbe più spaventata, che i temporali non mi avrebbero più inchiodata attonita in mezzo alle finestre spalancate. Che l’amore che scuote si sarebbe trasformato in placido affetto, questa idea è inaccettabile.
Prima di diventare maggiorenne ho scommesso che non avrei permesso agli anni di cambiarmi, non in quel modo. Fu come un incantesimo, e non sono cresciuta mai: è un attimo per me immergermi nello stesso tormento di quel periodo: l’inquietudine non appartiene all’adolescenza, ma a chi la brama.
Rimanere in questo limbo mi complica vivere; difficilmente trovo miei simili. Chi dice di esserl spesso finge anche con se stesso, e sovversivi che amavo si sono intiepiditi come mai avrei creduto. Però questa energia così evidente attrae a me conoscenze e situazioni che prescindono largamente dalla realtà, che presa così, univocamente, è mortalmente noiosa; le sue apparentemente insuperabili regole nelle quali tanti si avvolgono felici e dalle quali si sentono protetti e scaldati mi sono scomode e mi tediano.
Solo l’arte mi salva, solo l’arte che non è carina, che non è piacevole, che non è decorativa, che non si prostituisce e non si prostra, salverà il mondo.
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