Sto preparando un laboratorio per chi è stufo di vedere scorrere il tempo dal finestrino di un treno impazzito; per chi ha bisogno di rallentare, recuperare dialogo, lentezza, manualità, la propria necessaria animalità; di allontanarsi per qualche ora dal caos, dalla spersonalizzazione, dall’uniformità.
Negli ultimi tempi ho provato un rinnovato interesse per le cose non condivise con la tecnologia, che rimangono tra le mura della mia casa. La macchina da scrivere. Il diario scritto a penna, con le foto stampate attaccate sopra. Lo stereo con i vinili. I libri cartacei. La fotografia analogica. Un più stretto rapporto con alberi, animali, erbe spontanee, il legno, l’argilla, il camino, aggiustare le cose; preparare un pranzo o una cena con quello che c’è.
Questo bisogno di manualità, di fisicità, di ritrovare me stessa e i miei ricordi, è ciò che mi ha portato in questi anni a creare contenitori incrostati di oggetti provenienti dal passato, che racchiudono piccoli ricami.
Le scatole, di vetro, di porcellana, di legno, di cartone, di latta, sono capsule di memoria, che accompagnano e spiegano in versione tridimensionale il ricamo in gestazione all’interno. Testimoni fisici, inconfutabili, di un’emozione, un avvenimento, un lasso di tempo, antidoti all’oblio al quale tutti siamo sottoposti dalla sovrastimolazione dei media, dal surplus di informazioni impazzite.
Tutto questo mi ha convinta a mettere momentaneamente da parte la mia preziosa solitudine e incontrare fisicamente chi desidera creare dei contenitori personali, che esprimano la propria identità, le proprie sensazioni ed emozioni, mostrandogli infiniti modi per farlo e guidandolo nel realizzare un oggetto del tutto unico, come un despacho rituale intriso di energia, a cui attingere al bisogno.
Cinque ore di un sabato, eventualmente da reiterare in vari appuntamenti, durante il quale, con ritmi lenti, insegno la tecnica, offro ispirazioni, distribuisco oggetti complementari a quelli che ognuno può decidere di portare con sé, e all’argomento o all’emozione su cui vuole focalizzare.
Ho milioni di quelle che chiamo cose per fare le cose, conservate negli anni in contenitori singoli e collettivi, catalogati e tenuti da parte, e tutti questi piccoli oggetti aspettano qualcuno che voglia esprimere se stesso attraverso loro.
Ognuno di noi, opportunamente guidato, può (e dovrebbe) creare un’opera d’arte che esprima e sussurri ciò che si è, al di là di ciò che si mostra al mondo, per un motivo o per l’altro.
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