Lei è sull’isola, in un cottage che si affitta, con il marito; lui è carino, pensieroso, chiuso in se stesso. Anche lei è chiusa in se stessa. Si sono presi qualche settimana per rimettere insieme quello che resta del loro rapporto; una pianta che non hanno curato abbastanza, che non sapevano curare, si impara con il tempo, ci vuole tempo per capire. Fa molto caldo, un caldo umido, come respirare acqua.
Arriva questo ragazzo, anche lui è carino, è più carino del marito, viso sfilato, occhi persi, impaurito. Molto bello, molto magro, sanguinante, ferito, sanguina dalla testa e dal naso. Dice che ha bisogno di aiuto, è confuso, chiede acqua, e beve, e beve, beve molti bicchieri pieni d’acqua, ne chiede continuamente. Loro chiamano il proprietario, ma non risponde, intanto è notte, gli medicano le ferite, gli offrono del cibo, lui mangia velocemente e rumorosamente, lo lasciano riposare.
All’alba lei si alza per bere, beve acqua e limone, lei non riesce a bere acqua senza niente. Lui è sveglio, sul divano, le porte finestre sono spalancate, c’è ancora il fresco della notte; fissa il soffitto, è smarrito, e poi la guarda. Si mette seduto e sanguina ancora dal naso. Lei gli porge uno strofinaccio, lui tampona il sangue sulla maglietta e sul divano, lei gli allunga la bottiglia di acqua fredda, lui la accosta al naso, il sangue goccia per terra in una piccola pozza.
Lei vorrebbe chiedergli cosa gli è successo, ma è paralizzata dall’alba, dalla situazione, da un’attrazione indicibile che ha per questo sconosciuto che le sembra di riconoscere; ha scritto di lui mille volte, lei scrive, scrivere è come avere la febbre, se non hai la febbre non puoi scrivere.
L’alba è stentorea, immobile, ha il respiro mozzato. Lei si avvicina al divano, si siede su un bracciolo, lo guarda incuriosita, lui le chiede come si chiama. È sgarbato e sfacciato come un bambino di tre anni, ma il suo sguardo è arrendevole a lei; ha una docilità pronta ad esplodere, le mani grandi, sporche di sangue.
Dal giardino arriva odore di erba, di menta, di rovi, di pecore, di mare. Lui bagna lo strofinaccio con l’acqua fredda e se lo passa sulle mani, sul viso, sulle spalle, si siede per terra e glielo allunga. Lei gli prende la mano, si avvicina, gli prende l’altra mano, e si inginocchia davanti a lui. Gli passa la mano sul viso, avvicina il suo viso a quello di lui, sente l’odore del sangue, l’odore del ferro. il bisogno atavico di fondersi con quest’uomo. Loro si abbracciano, si stringono, lei piega la testa da una parte, offrendogli la gola, aderiscono l’uno all’altra.
Il mattino dopo lei lava i tessuti che ha tinto con il tè e con i carciofi. Ha un tuffo al cuore pensando ai suoi occhi, a lui. Va dal marito, lo bacia, gli chiede di andare via. Resterà sull’isola, troverà un posto, tingerà i tessuti, aspetterà il ragazzo sanguinante, che tornerà da lei e rimarrà con lei, dalla mattina alla sera ogni singola ora di ogni singolo giorno di ogni vita, come è stato da sempre.
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