Le dice ti faccio vedere Riccione, tu non ci sei mai stata, e adesso lei è su questo treno che corre verso un posto che non ha mai suscitato il suo interesse, oltretutto fuori stagione se non per uno che viene dal freddo vero, ma lui ci teneva proprio, le ha pure preso il biglietto e ha detto che era una cosa carina che si incontrassero a metà strada, lui che viene dal nord lei dal sud.

Sonia izn Piscicelli

È stanca e confusa, non ha nessuna voglia di vederlo e poi questa storia stava già finendo quando era iniziata, il giorno del suo compleanno, che le aveva comprato un braccialetto d’oro che pesava mezzo chilo e si era offeso perché non lo voleva – nemmeno le piaceva, era moderno e qualunque – lui ci aveva fatto incidere il suo nome e la sua data di nascita nonostante l’avesse conosciuta solo pochi giorni prima. Disse se non lo vuoi lo getto qui nel cestino; da un lato la sua insistenza la attraeva. Lo prese, e fu il primo di una sciagurata serie di errori madornali.

Voleva solo tornare a scuola e finire l’anno, anche se voleva dire comprare a settimane alterne i materiali per disegnare e il cibo, poco cibo, le frattaglie del pollo, l’olio, il limone; ogni volta che il suo coinquilino apre un pacco di pasta sua ruba una ventina di spaghetti e li mette da parte fino a quando non diventano un pasto.

Arriva in questa stazione semideserta; è giorno ma la luce è obliqua, fa freddo, lo scorge in fondo al binario, con una camicia a fiori, un bermuda troppo largo, le ciabatte, le gambe lunghe e magre, biondo e bianco come un tedesco. Gli dice che non si gira in città in costume a marzo, lui non la prende bene, si sente in difficoltà, e dire che l’aveva affascinata per il suo essere maturo e responsabile per la sua età, bravo nel suo lavoro, così tanto che non si è resa conto di quanto fosse autoriferito, ignorante, anempatico, poco intelligente, poco interessante, e di quanto fosse violento psicologicamente.

Non lo capisce nemmeno mentre sono in macchina e la porta difilato in questo albergo senza infamia né lode; il tempo di cambiarsi e la porta sul tipo di spiaggia che non ama, lunghissima, dritta, deserta, tutta uguale, una fila infinita di ombrelloni chiusi, sotto un sole pallido e teso.

Vive nella nebbia, ha sempre freddo. Cerca di coprirsi le spalle, annaspa in un panico razionale, spera di avvistare un’isola, una roccia, radici alle quali appartenere, a cui affidarsi; non ha tempo per capire chi sia e cosa voglia, vengono prima i bisogni primari: cibo, casa, caldo, vorrebbe un piccolo televisore perché la stanza a piano terra in cui vive la sera diventa un buco di angoscia.

Invece lui ha questo meraviglioso albergo in uno dei posti più belli del mondo. È bravo in tutto quello che fa, e conta di diventare molto più ricco di quello che già è in breve tempo, e lo farà. Non restaurerà il vecchio bellissimo albergo tradizionale che ha comprato; lo trasformerà in un enorme castello delle favole al confine tra lusso e volgarità. La stube affrescata, la scala di legno dell’800, tutto finirà nel fuoco o dove insomma il suo popolo di confine mette il suo passato.

Questa promessa di una vita solida e tranquilla l’ha accecata e ha continuato a sbatterci contro come un’insetto su una lampada irresistibile. Poi lui le ha chiesto di lavorare gratis, dall’alba a notte inoltrata, nel bar, nel ristorante, a fare le stanze. Perché ha detto che vuole che sia, e si senta, di famiglia. E vuole sposarla, subito, è molto insistente su questo, ma lei ride e pensa che scherzi, è troppo presto, e i suoi genitori la vedono con il sangue agli occhi, e sono entrati nella piccola stanzetta dove dorme e hanno gettato tutte le sue cose giù dalle scale.

Tornano in stanza, è sera; ha un gran mal di testa che non le fa capire cosa sta accadendo; si chiude in bagno, ma lui bussa, entra, la approccia e lei gli dice che sta male, ma lui farfuglia qualcosa che vuol dire che l’ha portata lì e adesso si fa quello che lui ha deciso che si deve fare; la trascina sul letto. Gli dice ti prego no non sto bene, domani, domani ne riparliamo, ma lui ha quello sguardo inespressivo che significa che è troppo tardi, e la testa le fa così male che le pare che subire questo stupro sia meglio che farlo incazzare, e spera solo che finisca subito, ma non finisce subito, e riesce solo a vedere quello sguardo annebbiato, quello che non guarda lei, e in quel momento va via e non è lì, non è lì ma quello che sta succedendo non è che sta finendo qualcosa, è che qualcosa sta iniziando perché lui vuole che inizi, ma lei non lo capisce, è così confusa, così sweet summer child.

Due mesi dopo lotta con una nausea terribile e sa solo che non vuole un figlio da lui. Non capisce che questo angelo era il primo step di un piano, e non lo capirà per molto tempo a venire. Lo chiama e gli dice che non lascerà che questo bambino nasca, anche se è lacerata, anche se al consultorio le dicono che ha già un cuore che batte, anche se sua madre dice che potrebbe, che sarebbe bello, ma poi nella sua istintiva saggezza da sole e luna in pesci le lascia fare quello che un barlume di istinto le urla di fare. Non riesce a starle vicina emotivamente, è già tanto che l’abbia accompagnata in un luogo che per credenze e passati suoi la inquieta, un posto che non è all’altezza di quella che vuole che la sua vita sia.

Dopo un paio di giorni lui le chiede al telefono perché non vieni su ad aiutare; gli dice che le hanno detto di non fare sforzi per un paio di settimane. Lui dice mia madre ne ha persi otto e non ha mai smesso di lavorare. E niente, rimane con lui ancora un altro anno.