Piccola e seduta sul gradino di marmo bianco dell’ingresso della casa della mia nonna, alto che non riesco a toccare con i piedi. Costruisco traballanti castelli di carte con le schede della tombola. Al mio fianco lei si sporge molto per stendere i panni su un filo che scorre su una carrucola, tirato dal palazzo di fronte.

Ella

Lei è grassa e distante e accogliente, si siede sul letto e mi chiede di prenderle gli occhiali per la vicinanza, in un cassetto pieno di figurine Liebig impregnate del profumo di lavanda. Stanotte loro hanno dormito a testa e io a piedi. Mi sono mezza svegliata all’alba, lei era girata sulla sua sinistra, verso la finestra aperta, con il braccio attorno a sé, e il nonno sulla sua destra, e tutti e due russavano piano e dalla strada non veniva nessun rumore, solo ogni tanto una macchina lontana. Ed era freddo.

Quando si è alzata mi ha preparato la torta margherita e ha lavato i bicchieri uno per uno strofinandoli con le mani dentro e fuori, solo con l’acqua. E poi abbiamo gettato dal balconcino della cucina il pane secco bagnato su un terrazzino vicino, ai piccioni. Questo facevamo a vicolo San Mandato, quando mi lasciavi dormire da loro.

Vorrei che fossi qui e poterti venire a trovare quando mi pare. Di notte al buio come un animale silenzioso, sedermi con la gamba sinistra sotto il sedere e guardarti mentre dormi. Controllare se il tuo sonno fosse quieto, e quando non lo fosse, accarezzarti piano per farti sentire amata e al sicuro come la bambina fuori di testa che sei sempre stata.

Sgattaiolare via prima dell’alba e tornare a darti uno sguardo più tardi, mentre fai colazione o ti mettono in un angolo sulla sedia a rotelle e cantano.

Ho saputo che ultimamente sei aggressiva, che è una fase normale della malattia. E mi chiedo, se dovessi arrivare lì all’improvviso, chiamandoti mamma, se per un istante mi riconosceresti, se ti sarebbe un po’ di consolazione. È più di un anno che ti vedo solo in qualche sporadica fotografia, il viso lunghissimo, gli occhi persi, una recita disperata di te stessa.

Grazie per essere stata un’infinita fonte di ispirazione, di avermi insegnato quanto sia importante e potente la forza di volontà. Nonostante fossi un’essere sensibile e fragile hai fronteggiato il mondo come un leone senza avere artigli e zanne e mi hai mostrato l’importanza di combattere per ciò che si desidera. E, involontariamente,  quanto può essere distruttivo e autolesionista l’orgoglio.

nessun uomo è un'isola

Stiamo andando sempre più velocemente verso una destinazione che non conosciamo; possiamo solo incrociare le dita e sperare di essere tra quelli che sopravviveranno al crollo rovinoso degli ultimi cent’anni. Solo l’arte ci salverà, solo il pensiero selvaggio, indipendente, solo la sconsideratezza, l’incoscienza, lo stomaco, solo sapere ignorare e snobbare la paura.

Intanto chiarifico il burro, imparo a riconoscere gli alberi, mi sveglio di notte con le crisi di panico, intanto uno dei miei lavori sarà esposto a Roma questo sabato.