Credo alla magia in qualsiasi forma si manifesti, e che chi se ne discosta si tagli fuori da un mondo che, quando frequentato, invade il capo della realtà ampliandola e illuminandola a giorno. Quando poi esistono, e sono disponibili per chiunque, varchi come l’arte, in ognuna delle sue innumerevoli forme; passaporte verso una realtà parallela, che per chi la conosce e la frequenta è più reale, vivida e densa di quella nella quale siamo stati abituati a immergerci.
Ad esempio la musica, diversa per ognuno, raddensa all’istante il presente anche non avendo avuto il bene di alcuna cultura; e con un minimo di studio poi, unito a un’innata sensibilità, una scultura, un quadro a olio, un’installazione, una performance, squarciano il velo della quotidianità, e aprono gli occhi sulla propria Narnia, solo volendolo.
Adesso posso dire di essere un’artista, titolo che non mi ero mai concessa, perché non permettevo a ciò che ero di manifestarsi nella sua totalità; l’arte rimaneva sempre un’occupazione secondaria. Ci voleva il coraggio di dare spazio e vita a ciò che ero e sono, e mettere al rogo il famigerato, paterno, disilluso, impietoso, e crudele “tu studia per fare un lavoro vero che poi l’arte la puoi sempre fare come hobby”.
Un’amica che si occupa di aiutare gli artisti romani a farsi conoscere mi ha suggerito di realizzare qualcosa di piccolo, che anche chi non ha modo di investire una grossa somma possa custodire gelosamente a casa propria, o portarsi addosso, in tasca, dentro la giacca, in giro.
Così tra febbraio e marzo mi sono riservata qualche giorno di piccoli ricami cuciti insieme, incrostati di oggetti che nel tempo ho accumulato nella scatola “cose per fare le cose”: bottoni di madreperla, spille di acciaio, rametti, scarti metallici (vecchie grattugie, pezzi di annaffiatoi, targhe di ascensori), provette di vetro, pezzi di legno e piccoli doni del mare portati dalle ondine, raccolti negli anni in giro per il mondo.
Ho ricamato la firma su biglietti da visita ricavati da ritagli di stoffa, arrotolati su se stessi e chiusi con un cordoncino, e ho reinterpretato in una chiave diversa un oggetto che mi ha sempre affascinato, lo scapolare. Mi sono divertita a creare questi oggetti di stoffa che chiedono di essere toccati, sollevati, manipolati, svolti, e in cambio restituiscono un piccolo rumore tintinnante o ciacolante.
Amo l’idea di un’arte multisensoriale, odorosa, tattile, magari anche udibile… ghermire voci della natura, come il vento, la pioggia, il mare. Qui sotto vedete un po’ di questi oggetti giocosi e gioiosi da portarsi appresso, tenere in un cassetto, allacciare al polso o poggiare sul comodino, così, solo per guardarli o giocarci.
Ho anche pensato che alcuni di loro, quelli più piccoli e semplici, possono essere appuntati sul cappotto, o all’interno di una giacca, sul cuore, nascosti a tutti tranne a se stessi, o cuciti su altri oggetti che si amano, tutti noi abbiamo cose preziose solo per noi, ed è bellissimo vedere come ognuno cura le sue cose. Ad esempio io di solito le distruggo o le perdo :-D
Ho provato a inserire anche i video che ho realizzato per instagram, grazie a una preziosa aiutante che mi ha prestato le sue mani, ma non sono riuscita a inserirli qui nel blog, quindi trovate qui quello delle spille da balia, qui quello dei contagocce tintinnanti, qui quello dei bottoni di madreperla, e infine qui quello dello zafferano, che nel video era ancora in progress.
Per questi oggetti piccolini ho creato anche dei contenitori; alcune sono scatoline di cartone sulle quali ho incollato un collage di carte, oggetti strani ed eventuali come la targhetta di un’ascensore trovata per strada, ritagli di vecchie fotografie scattate con la mia meravigliosa Voigtlanbder Vito B, e disegni oziosi fatti al volo quelle volte che me ne veniva voglia
È stata una bella parentesi che sicuramente riprenderò; ma in aprile e in maggio mi sono concentrata su un paio di oggetti molto più estesi e complicati dal punto di vista del ricamo, che mi hanno preso tanto tempo, e che cercherò di inserire presto qui nel blog.
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