E sono ripartita. Succede sempre così: ciò che prima mi esaltava non mi basta più. All’inizio resisto, cerco di ritrovare l’equilibrio, mi dico che è una sensazione passeggera, poi questa cosa cresce dentro di me fino alla capitolazione. Mollare il controllo, quella è una cosa dalla quale un artista non può prescindere.
Tieni stretto il controllo e partorirai figli rigidi e tristi; ogni volta che li guarderai proverai un profondo senso di disagio. Perditi dentro di te, lascia che una mano invisibile guidi ciò che fai, e creerai qualcosa di magico, uno specchio nel quale ognuno vede qualcosa di sé, mutevole, insinuante, qualcosa che non detesterai.
Alle soglie del mezzo secolo ho sentito che era il momento di dare a me stessa ciò che avevo sempre voluto, per cui e con cui sono nata, al quale ho sempre teso, e che mi è sempre stato negato, prima da chi mi fidavo più di ogni altro, e poi da me stessa o meglio dalla me che ripeteva gli schemi imparati.
Nei primi febbrili cinquant’anni della mia vita rutilante ho dipinto, fotografato, modellato argilla e fili di ferro, ho disegnato (ho soprattutto disegnato), ma tutto ciò che facevo mi lasciava lo stomaco più stretto di quando avevo iniziato, fino a quando non ho scoperto casualmente l’embroidery art. Da lì ai primi timidi tentativi autodidatti di ricamare cose strane su tutto ciò che mi capitava a tiro è stato un attimo.
In questo blog racconterò il percorso che farò, come lo affronterò, e perché, attraverso i ricami e qualche racconto distopico. L’arte in ogni sua sfumatura, soprattutto nella quotidianità, nelle vecchie cose, nella case abbandonate, nelle parole, nelle piante, davanti ai nostri occhi ogni giorno.
Magari qualcuno che ha la mia stessa indole si sentirà meno solo di quanto mi sia sentita io, circondata dal pragmatismo, dal disincanto, dai saggi consigli di chi avrebbe voluto farlo e non lo ha fatto perché l’artista non è un lavoro, è un hobby. Ed è stato infelice per tutta la vita.
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