Mi interessa molto il rapporto tra individualità e collettività; la singola anima che si fonde con quella universale, i diversi punti di vista di ognuno e il doveroso rispetto per il diverso da sé. Cerco di concepire ogni mia opera come uno specchio nel quale ognuno veda se stesso, non ciò che io ho da dire; tento di essere un imbuto che filtra l’energia che mi permea, che è di tutti, e di tutto.
I tre fili che utilizzo nelle opere grandi, colorato, neutro e bianco, simboleggiano tre possibili diversi punti di vista di uno stesso soggetto. Il bianco, quasi invisibile visto che è ricamato su un fondo dello stesso (non)colore, rappresenta anche l’energia vitale che ogni cosa, vivente o apparentemente inanimata, emana.
È il filo per me più importante, tanto è vero che uso per esso un punto diverso che raggrinzisce e tira il tessuto, ed è l’unico che, mettendo in controluce il ricamo, fa intravedere una serie di forellini che lasciano passare la luce; costellazioni luminose che ammoniscono che “siamo fatti della stessa materia delle stelle”, come disse Carl Sagan quarant’anni fa.
In questa ottica di comunione energetica sono sempre curiosa di andare a guardare cosa fanno gli altri artisti; nel tempo mi è spesso capitato anche di avere idee delle quali non avevo parlato a nessuno, e vederle poi messe in pratica da altri. Questo rafforza la mia convinzione che gli artisti siano soprattutto persone che hanno una particolare facilità a cogliere ed esprimere i movimenti che l’energia compie in un dato momento; interpreti, e poi divulgatori. L’espressione dell’anima universale che si muove fluida ma compatta.
Il re del mondo è stato proprio il frutto di un’ispirazione fulminante che mi è arrivata alla fine di marzo, attraverso il lavoro di Javier Marin, un bravissimo scultore che ho scoperto su Instagram e che mi ha fatto venire una voglia enorme di correre in Messico o dovunque si trovino le sue opere smisurate per ammirarle e toccarle da vicino.
Trovo i lavori di quest’uomo di una bellezza sconcertante: danno l’impressione di muoversi davanti agli occhi. Deve essere bellissimo lavorare su qualcosa che ha innumerevoli punti di vista, rispetto a chi come me si muove nel mondo del bidimensionale (o quasi). In uno dei primi post su Instagram l’ho anche taggato, mi sembrava giusto citare la fonte dell’ispirazione; il giorno dopo lui ha poi scritto un post che mi ha scaldato veramente il cuore e mi ha incoraggiata a percorrere la strada di cui parlavo poc’anzi.
Ho iniziato a disegnare la prima matita alla fine di marzo, su un tessuto veramente particolare. Si tratta di un antico sudario che mi è arrivato in dono grazie al trasloco dei genitori di mio marito; una stoffa molto lunga e stretta dalla quale ho ricavato alcuni preziosi ritagli che custodisco gelosamente.
È un lavoro che deraglia dai binari sui quali di solito mi diverto a correre; non so se rimarrà l’unico volto (non credo, conoscendomi); fatto sta che per adesso è la sola presenza pseudo-umana tra i miei fiori, piante, alberi, pesci, uccelli e farfalle.
Questo ricamo mi ha accompagnata per tutto aprile, con qualche interruzione dovuta a numerosi cambiamenti che ho sentito di fare, e al fatto che ho finito i fili e ho dovuto attendere che arrivassero dall’Inghilterra, con tutte le implicazioni della Brexit. Ancora adesso aspetta gli ultimi ritocchi perché intanto non ho saputo impedirmi di cominciare un altro lavoro.
Scrivi un commento